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Lorenzo Maria Pacini
September 14, 2025
© Photo: Public domain

Lo scudo penale promosso dal Governo Meloni snatura la funzione del diritto penale, non assicura vera serenità ai medici, che deriva piuttosto da condizioni di lavoro sicure

Segue nostro Telegram. 

Il cosiddetto “scudo penale per i medici”, approvato dal Consiglio dei Ministri nell’ambito del disegno di legge delegato sulla riforma delle professioni sanitarie, comporta rilevanti cambiamenti nel sistema della responsabilità sanitaria. Viene introdotto un nuovo art. 590-sexies del codice penale, secondo il quale il personale sanitario risponde penalmente soltanto nei casi di colpa grave, a condizione che la condotta sia stata conforme alle linee guida o alle buone pratiche clinico-assistenziali. A ciò si aggiunge un art. 590-septies, che definisce criteri di valutazione della colpa, come scarsità di risorse, disfunzioni organizzative inevitabili, situazioni di urgenza o incertezza scientifica. Parallelamente, la legge statale n. 24/2017 (c.d. Gelli-Bianco) viene modificata, attribuendo alle linee guida carattere “inderogabile”, pur con la clausola che tiene conto delle peculiarità del caso concreto.

La domanda da porsi davanti a tutto questo è: perché serve uno scudo penale, per di più così complesso e potente, per i medici?

La categoria in questione, almeno teoricamente, dovrebbe essere per eccellenza una delle più “responsabili” delle proprie azioni, fatta di professionisti che sanno quello che fanno e che fanno quello che sanno, pronti a sacrificarsi con eroismo per salvare la vita agli altri. Da un eroe, di solito, ci si aspettano cose belle. Invece, ora, pare che questi famigerati “angeli col camice” siano più simili a demoni pronti a strappare la vita, non a conservarla.

Lo scudo penale si rende necessario come misura per proteggere una categoria che è stata oggetto di corruzione irrefrenabile e di smarrimento dell’etica professionale – e di un minimo di coscienza morale – come mai era successo prima.

Sì, i medici sono stai i grandi traditori della Verità e del Bene, i primi ad aver venduto la propria anima per denaro, allorché avrebbero dovuto combattere per ribadire l’ovvio e contrastare l’assurdo. Invece, si sono piegati, in virtù della comodità dei loro salari e della opportunità finanziaria che gli veniva offerta. Poco importa della salute dei pazienti quando puoi garantirti la tua, e meglio ancora garantirtela con qualche “bonus” in più, no?

Da eroi incaricati per vocazione e per professione, sotto solenne giuramento, si sono trasformati in persecutori e promotori di morte, spacciata vigliaccamente per vita. Questo è. La legalizzazione moralizzata di comportamenti criminali, l’elevazione alla santità sociale di cooperatori dell’inganno. Vuoi per ignoranza, vuoi per debolezza, vuoi per ottusità, i medici dal 2020 hanno riposizionato la loro immagine sociale.

Ma come mai lo scudo penale, dicevamo?

Perché è proprio a medici che viene attribuita da molti la “colpa” della strage per le vaccinazioni (cosiddette). Da un punto di vista della filosofia morale, no, non è meramente colpa dei professionisti della sanità che hanno spinto e/o praticato ai pazienti l’inoculazione dei sieri sperimentali: ognuno ha, fino all’ultimo, personale responsabilità delle proprie scelte e azioni, indistintamente. L’ultimo assenso è sempre stato personale, non coatto in senso stretto. Ma i medici avevano il compito, nella loro professione e posizione sociale autorevole, di onorare il loro giuramento, le leggi positive e quelle naturali, preservando le persone dalla strage inoculatoria, non invogliarle all’iniezione. Questo è.

La riforma avanzata, come si può osservare, non rappresenta una misura temporanea, bensì una disciplina strutturale e permanente del regime di colpa in ambito sanitario. Qui si giocherà un passaggio importante per il futuro.

Un primo punto critico riguarda il principio di legalità penale, sancito dall’art. 25, comma 2, della Costituzione, che richiede determinatezza e precisione delle fattispecie incriminatrici. La questione della graduazione della colpa era già stata affrontata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 166/1973, nella quale si affermava che la deroga alla responsabilità penale per colpa aveva una giustificazione specifica ed era comunque limitata e circoscritta, soprattutto nell’ambito della perizia. Oggi, invece, l’introduzione di clausole generali come “scarsità di risorse” o “carenze organizzative” lascia al giudice un margine di discrezionalità eccessivo, che rischia di violare il principio di tassatività e di determinare, in pratica, l’esclusione quasi sistematica della responsabilità.

Un secondo problema riguarda il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. La nuova disciplina crea un’irragionevole disparità di trattamento, riconoscendo al personale sanitario un regime più favorevole: di fronte a eventi gravissimi per la vita e la salute, la soglia penale è innalzata alla colpa grave, mentre in altri ambiti professionali resta punibile anche la colpa lieve. La Corte costituzionale ha costantemente affermato che la differenziazione normativa deve avere una proporzione ragionevole con il bene giuridico tutelato. Qui, invece, proprio dove il bene protetto è massimo, si riduce la forza del presidio penale.

Il profilo sovranazionale non è meno rilevante. La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sostiene che gli Stati hanno l’obbligo positivo di predisporre un quadro regolatorio effettivo a tutela della vita, anche in ambito sanitario. Questo non significa necessariamente criminalizzare ogni condotta colposa, ma garantire strumenti adeguati ed efficaci. Una normativa che riduce drasticamente l’area della responsabilità penale, senza rafforzare parallelamente i rimedi civilistici e disciplinari, rischia di porsi in contrasto con l’art. 2 CEDU e, indirettamente, con l’art. 117, comma 1, della Costituzione.

È altresì ingannevole l’argomento relativo alla medicina difensiva. L’esecutivo sostiene che lo scudo ridurrà costi e tempi d’attesa. Tuttavia, le cifre di spesa attribuite a tale fenomeno, stimate intorno agli 11 miliardi di euro annui, risultano controverse e prive di validi riscontri scientifici. Fondare un’immunità penale di categoria su stime incerte significa piegare il diritto penale a logiche economiche, in contrasto con l’art. 27 Cost., che collega la responsabilità penale esclusivamente al fatto personale e alla sua colpevolezza.

Un ulteriore aspetto critico è rappresentato dalla scelta di rendere le linee guida inderogabili. Il rispetto delle linee guida non costituisce automaticamente una scriminante, poiché resta necessaria la valutazione del caso concreto. Trasformare le linee guida in norme rigide riduce la pratica medica a mera esecuzione burocratica, limitando l’autonomia professionale e, al tempo stesso, offrendo uno scudo indiscriminato. Si tratta di un arretramento nella qualità della cura, che compromette il diritto alla salute sancito dall’art. 32 Cost., subordinando la centralità del paziente alla rigidità dei protocolli.

Lo scudo penale promosso dal Governo Meloni snatura la funzione del diritto penale, non assicura vera serenità ai medici, che deriva piuttosto da condizioni di lavoro sicure, da un’organizzazione efficiente e da un’adeguata formazione. Non elimina la medicina difensiva, poiché sposta il contenzioso su altri piani, civile e disciplinare. Non rafforza la tutela dei pazienti, che al contrario ne escono indeboliti.

In realtà, ciò che si configura è una sorta di amnistia mascherata: si istituzionalizza l’impunità, si deresponsabilizza il sistema e si sacrifica la centralità del malato, riducendo la giustizia a mero strumento di convenienza politica.

Scudo penale per aspiranti criminali medici

Lo scudo penale promosso dal Governo Meloni snatura la funzione del diritto penale, non assicura vera serenità ai medici, che deriva piuttosto da condizioni di lavoro sicure

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Il cosiddetto “scudo penale per i medici”, approvato dal Consiglio dei Ministri nell’ambito del disegno di legge delegato sulla riforma delle professioni sanitarie, comporta rilevanti cambiamenti nel sistema della responsabilità sanitaria. Viene introdotto un nuovo art. 590-sexies del codice penale, secondo il quale il personale sanitario risponde penalmente soltanto nei casi di colpa grave, a condizione che la condotta sia stata conforme alle linee guida o alle buone pratiche clinico-assistenziali. A ciò si aggiunge un art. 590-septies, che definisce criteri di valutazione della colpa, come scarsità di risorse, disfunzioni organizzative inevitabili, situazioni di urgenza o incertezza scientifica. Parallelamente, la legge statale n. 24/2017 (c.d. Gelli-Bianco) viene modificata, attribuendo alle linee guida carattere “inderogabile”, pur con la clausola che tiene conto delle peculiarità del caso concreto.

La domanda da porsi davanti a tutto questo è: perché serve uno scudo penale, per di più così complesso e potente, per i medici?

La categoria in questione, almeno teoricamente, dovrebbe essere per eccellenza una delle più “responsabili” delle proprie azioni, fatta di professionisti che sanno quello che fanno e che fanno quello che sanno, pronti a sacrificarsi con eroismo per salvare la vita agli altri. Da un eroe, di solito, ci si aspettano cose belle. Invece, ora, pare che questi famigerati “angeli col camice” siano più simili a demoni pronti a strappare la vita, non a conservarla.

Lo scudo penale si rende necessario come misura per proteggere una categoria che è stata oggetto di corruzione irrefrenabile e di smarrimento dell’etica professionale – e di un minimo di coscienza morale – come mai era successo prima.

Sì, i medici sono stai i grandi traditori della Verità e del Bene, i primi ad aver venduto la propria anima per denaro, allorché avrebbero dovuto combattere per ribadire l’ovvio e contrastare l’assurdo. Invece, si sono piegati, in virtù della comodità dei loro salari e della opportunità finanziaria che gli veniva offerta. Poco importa della salute dei pazienti quando puoi garantirti la tua, e meglio ancora garantirtela con qualche “bonus” in più, no?

Da eroi incaricati per vocazione e per professione, sotto solenne giuramento, si sono trasformati in persecutori e promotori di morte, spacciata vigliaccamente per vita. Questo è. La legalizzazione moralizzata di comportamenti criminali, l’elevazione alla santità sociale di cooperatori dell’inganno. Vuoi per ignoranza, vuoi per debolezza, vuoi per ottusità, i medici dal 2020 hanno riposizionato la loro immagine sociale.

Ma come mai lo scudo penale, dicevamo?

Perché è proprio a medici che viene attribuita da molti la “colpa” della strage per le vaccinazioni (cosiddette). Da un punto di vista della filosofia morale, no, non è meramente colpa dei professionisti della sanità che hanno spinto e/o praticato ai pazienti l’inoculazione dei sieri sperimentali: ognuno ha, fino all’ultimo, personale responsabilità delle proprie scelte e azioni, indistintamente. L’ultimo assenso è sempre stato personale, non coatto in senso stretto. Ma i medici avevano il compito, nella loro professione e posizione sociale autorevole, di onorare il loro giuramento, le leggi positive e quelle naturali, preservando le persone dalla strage inoculatoria, non invogliarle all’iniezione. Questo è.

La riforma avanzata, come si può osservare, non rappresenta una misura temporanea, bensì una disciplina strutturale e permanente del regime di colpa in ambito sanitario. Qui si giocherà un passaggio importante per il futuro.

Un primo punto critico riguarda il principio di legalità penale, sancito dall’art. 25, comma 2, della Costituzione, che richiede determinatezza e precisione delle fattispecie incriminatrici. La questione della graduazione della colpa era già stata affrontata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 166/1973, nella quale si affermava che la deroga alla responsabilità penale per colpa aveva una giustificazione specifica ed era comunque limitata e circoscritta, soprattutto nell’ambito della perizia. Oggi, invece, l’introduzione di clausole generali come “scarsità di risorse” o “carenze organizzative” lascia al giudice un margine di discrezionalità eccessivo, che rischia di violare il principio di tassatività e di determinare, in pratica, l’esclusione quasi sistematica della responsabilità.

Un secondo problema riguarda il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. La nuova disciplina crea un’irragionevole disparità di trattamento, riconoscendo al personale sanitario un regime più favorevole: di fronte a eventi gravissimi per la vita e la salute, la soglia penale è innalzata alla colpa grave, mentre in altri ambiti professionali resta punibile anche la colpa lieve. La Corte costituzionale ha costantemente affermato che la differenziazione normativa deve avere una proporzione ragionevole con il bene giuridico tutelato. Qui, invece, proprio dove il bene protetto è massimo, si riduce la forza del presidio penale.

Il profilo sovranazionale non è meno rilevante. La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sostiene che gli Stati hanno l’obbligo positivo di predisporre un quadro regolatorio effettivo a tutela della vita, anche in ambito sanitario. Questo non significa necessariamente criminalizzare ogni condotta colposa, ma garantire strumenti adeguati ed efficaci. Una normativa che riduce drasticamente l’area della responsabilità penale, senza rafforzare parallelamente i rimedi civilistici e disciplinari, rischia di porsi in contrasto con l’art. 2 CEDU e, indirettamente, con l’art. 117, comma 1, della Costituzione.

È altresì ingannevole l’argomento relativo alla medicina difensiva. L’esecutivo sostiene che lo scudo ridurrà costi e tempi d’attesa. Tuttavia, le cifre di spesa attribuite a tale fenomeno, stimate intorno agli 11 miliardi di euro annui, risultano controverse e prive di validi riscontri scientifici. Fondare un’immunità penale di categoria su stime incerte significa piegare il diritto penale a logiche economiche, in contrasto con l’art. 27 Cost., che collega la responsabilità penale esclusivamente al fatto personale e alla sua colpevolezza.

Un ulteriore aspetto critico è rappresentato dalla scelta di rendere le linee guida inderogabili. Il rispetto delle linee guida non costituisce automaticamente una scriminante, poiché resta necessaria la valutazione del caso concreto. Trasformare le linee guida in norme rigide riduce la pratica medica a mera esecuzione burocratica, limitando l’autonomia professionale e, al tempo stesso, offrendo uno scudo indiscriminato. Si tratta di un arretramento nella qualità della cura, che compromette il diritto alla salute sancito dall’art. 32 Cost., subordinando la centralità del paziente alla rigidità dei protocolli.

Lo scudo penale promosso dal Governo Meloni snatura la funzione del diritto penale, non assicura vera serenità ai medici, che deriva piuttosto da condizioni di lavoro sicure, da un’organizzazione efficiente e da un’adeguata formazione. Non elimina la medicina difensiva, poiché sposta il contenzioso su altri piani, civile e disciplinare. Non rafforza la tutela dei pazienti, che al contrario ne escono indeboliti.

In realtà, ciò che si configura è una sorta di amnistia mascherata: si istituzionalizza l’impunità, si deresponsabilizza il sistema e si sacrifica la centralità del malato, riducendo la giustizia a mero strumento di convenienza politica.

Lo scudo penale promosso dal Governo Meloni snatura la funzione del diritto penale, non assicura vera serenità ai medici, che deriva piuttosto da condizioni di lavoro sicure

Segue nostro Telegram. 

Il cosiddetto “scudo penale per i medici”, approvato dal Consiglio dei Ministri nell’ambito del disegno di legge delegato sulla riforma delle professioni sanitarie, comporta rilevanti cambiamenti nel sistema della responsabilità sanitaria. Viene introdotto un nuovo art. 590-sexies del codice penale, secondo il quale il personale sanitario risponde penalmente soltanto nei casi di colpa grave, a condizione che la condotta sia stata conforme alle linee guida o alle buone pratiche clinico-assistenziali. A ciò si aggiunge un art. 590-septies, che definisce criteri di valutazione della colpa, come scarsità di risorse, disfunzioni organizzative inevitabili, situazioni di urgenza o incertezza scientifica. Parallelamente, la legge statale n. 24/2017 (c.d. Gelli-Bianco) viene modificata, attribuendo alle linee guida carattere “inderogabile”, pur con la clausola che tiene conto delle peculiarità del caso concreto.

La domanda da porsi davanti a tutto questo è: perché serve uno scudo penale, per di più così complesso e potente, per i medici?

La categoria in questione, almeno teoricamente, dovrebbe essere per eccellenza una delle più “responsabili” delle proprie azioni, fatta di professionisti che sanno quello che fanno e che fanno quello che sanno, pronti a sacrificarsi con eroismo per salvare la vita agli altri. Da un eroe, di solito, ci si aspettano cose belle. Invece, ora, pare che questi famigerati “angeli col camice” siano più simili a demoni pronti a strappare la vita, non a conservarla.

Lo scudo penale si rende necessario come misura per proteggere una categoria che è stata oggetto di corruzione irrefrenabile e di smarrimento dell’etica professionale – e di un minimo di coscienza morale – come mai era successo prima.

Sì, i medici sono stai i grandi traditori della Verità e del Bene, i primi ad aver venduto la propria anima per denaro, allorché avrebbero dovuto combattere per ribadire l’ovvio e contrastare l’assurdo. Invece, si sono piegati, in virtù della comodità dei loro salari e della opportunità finanziaria che gli veniva offerta. Poco importa della salute dei pazienti quando puoi garantirti la tua, e meglio ancora garantirtela con qualche “bonus” in più, no?

Da eroi incaricati per vocazione e per professione, sotto solenne giuramento, si sono trasformati in persecutori e promotori di morte, spacciata vigliaccamente per vita. Questo è. La legalizzazione moralizzata di comportamenti criminali, l’elevazione alla santità sociale di cooperatori dell’inganno. Vuoi per ignoranza, vuoi per debolezza, vuoi per ottusità, i medici dal 2020 hanno riposizionato la loro immagine sociale.

Ma come mai lo scudo penale, dicevamo?

Perché è proprio a medici che viene attribuita da molti la “colpa” della strage per le vaccinazioni (cosiddette). Da un punto di vista della filosofia morale, no, non è meramente colpa dei professionisti della sanità che hanno spinto e/o praticato ai pazienti l’inoculazione dei sieri sperimentali: ognuno ha, fino all’ultimo, personale responsabilità delle proprie scelte e azioni, indistintamente. L’ultimo assenso è sempre stato personale, non coatto in senso stretto. Ma i medici avevano il compito, nella loro professione e posizione sociale autorevole, di onorare il loro giuramento, le leggi positive e quelle naturali, preservando le persone dalla strage inoculatoria, non invogliarle all’iniezione. Questo è.

La riforma avanzata, come si può osservare, non rappresenta una misura temporanea, bensì una disciplina strutturale e permanente del regime di colpa in ambito sanitario. Qui si giocherà un passaggio importante per il futuro.

Un primo punto critico riguarda il principio di legalità penale, sancito dall’art. 25, comma 2, della Costituzione, che richiede determinatezza e precisione delle fattispecie incriminatrici. La questione della graduazione della colpa era già stata affrontata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 166/1973, nella quale si affermava che la deroga alla responsabilità penale per colpa aveva una giustificazione specifica ed era comunque limitata e circoscritta, soprattutto nell’ambito della perizia. Oggi, invece, l’introduzione di clausole generali come “scarsità di risorse” o “carenze organizzative” lascia al giudice un margine di discrezionalità eccessivo, che rischia di violare il principio di tassatività e di determinare, in pratica, l’esclusione quasi sistematica della responsabilità.

Un secondo problema riguarda il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. La nuova disciplina crea un’irragionevole disparità di trattamento, riconoscendo al personale sanitario un regime più favorevole: di fronte a eventi gravissimi per la vita e la salute, la soglia penale è innalzata alla colpa grave, mentre in altri ambiti professionali resta punibile anche la colpa lieve. La Corte costituzionale ha costantemente affermato che la differenziazione normativa deve avere una proporzione ragionevole con il bene giuridico tutelato. Qui, invece, proprio dove il bene protetto è massimo, si riduce la forza del presidio penale.

Il profilo sovranazionale non è meno rilevante. La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sostiene che gli Stati hanno l’obbligo positivo di predisporre un quadro regolatorio effettivo a tutela della vita, anche in ambito sanitario. Questo non significa necessariamente criminalizzare ogni condotta colposa, ma garantire strumenti adeguati ed efficaci. Una normativa che riduce drasticamente l’area della responsabilità penale, senza rafforzare parallelamente i rimedi civilistici e disciplinari, rischia di porsi in contrasto con l’art. 2 CEDU e, indirettamente, con l’art. 117, comma 1, della Costituzione.

È altresì ingannevole l’argomento relativo alla medicina difensiva. L’esecutivo sostiene che lo scudo ridurrà costi e tempi d’attesa. Tuttavia, le cifre di spesa attribuite a tale fenomeno, stimate intorno agli 11 miliardi di euro annui, risultano controverse e prive di validi riscontri scientifici. Fondare un’immunità penale di categoria su stime incerte significa piegare il diritto penale a logiche economiche, in contrasto con l’art. 27 Cost., che collega la responsabilità penale esclusivamente al fatto personale e alla sua colpevolezza.

Un ulteriore aspetto critico è rappresentato dalla scelta di rendere le linee guida inderogabili. Il rispetto delle linee guida non costituisce automaticamente una scriminante, poiché resta necessaria la valutazione del caso concreto. Trasformare le linee guida in norme rigide riduce la pratica medica a mera esecuzione burocratica, limitando l’autonomia professionale e, al tempo stesso, offrendo uno scudo indiscriminato. Si tratta di un arretramento nella qualità della cura, che compromette il diritto alla salute sancito dall’art. 32 Cost., subordinando la centralità del paziente alla rigidità dei protocolli.

Lo scudo penale promosso dal Governo Meloni snatura la funzione del diritto penale, non assicura vera serenità ai medici, che deriva piuttosto da condizioni di lavoro sicure, da un’organizzazione efficiente e da un’adeguata formazione. Non elimina la medicina difensiva, poiché sposta il contenzioso su altri piani, civile e disciplinare. Non rafforza la tutela dei pazienti, che al contrario ne escono indeboliti.

In realtà, ciò che si configura è una sorta di amnistia mascherata: si istituzionalizza l’impunità, si deresponsabilizza il sistema e si sacrifica la centralità del malato, riducendo la giustizia a mero strumento di convenienza politica.

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