Italiano
Stefano Vernole
July 31, 2025
© Photo: Public domain

L’Italia può riorientare le sue esportazioni dagli Stati Uniti alla Cina?

Segue nostro Telegram. 

Anche se le trattative tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti si stanno avvicinando ad un accordo commerciale che imporrebbe dazi del 15%. – le tariffe sull’acciaio rimarrebbero comunque al 50% – per le imprese italiane i problemi non sono certamente finiti.

Innanzitutto rimane la variabile “imprevedibilità” di Donald Trump, che potrebbe successivamente cambiare i termini dell’intesa come già accaduto in passato. In effetti Bruxelles, mentre sta negoziando alcune esenzioni tra cui aerei, alcolici, dispositivi medici e medicinali generici, prosegue la preparazione delle contromisure in caso di mancata implementazione dei termini dell’accordo da parte di Washington.

In secondo luogo, solo pochi giorni fa, il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti aveva ammesso che per l’Italia accettare dazi superiori al 10% sarebbe stato “insostenibile”. E’ allora evidente che continuare ad insistere con il mercato statunitense quale principale destinazione dei prodotti italiani fuori dall’Europa rischia di divenire controproducente, a maggior ragione perchè nel nuovo mondo multipolare esiste una grande “fame” di Made in Italy.

Da questo punto di vista la Cina, al contrario degli Stati Uniti, si pone sempre più come Paese responsabile e alla ricerca di quella stabilità globale desiderata dalle aziende esportatrici. I dati economici dello scorso anno confermano questo orientamento geopolitico: forte spinta di Pechino verso l’ASEAN (+7,8%), in misura minore verso la UE (+2,2%) e decisa contrazione degli scambi con gli USA (-9%), per un consuntivo globale di 43.000,8 miliardi di RMB (+5%) e un surplus commerciale di 7.000 miliardi di RMB (export + 7% e import + 2%). Nel 2024, l’Italia è stata per la Repubblica Popolare Cinese il 24° partner nel mondo e il 4° all’interno dell’Unione Europea ma esistono ancora aree economico-sociali di cooperazione dal potenziale fortemente inesplorato. Tra di esse: start up innovative, proprietà intellettuale, agroalimentare, istruzione, cultura e sanità; alla luce dei settori in cui Pechino vanta grandi successi – Intelligenza Artificiale (70% dei nuovi brevetti nel mondo appartengono ad imprese della RPC), veicoli elettrici ed energie rinnovabili – joint ventures e partnership per le imprese italiane con quelle cinesi sono auspicabili.

Naturalmente anche in Cina esistono problemi: nella ineguale distribuzione del reddito (quello dei ceti urbani è circa il doppio di quanti vivono nelle campagne) e negli squilibri regionali, nella curva demografica discendente che ancora le politiche governative di stimolo a fare figli non hanno invertito (attualmente nel Paese oltre 300 milioni di persone hanno più di 60 anni e nel 2050 gli over 65 potrebbero diventare 1/3 della popolazione) e nella bassa propensione ai consumi (il tasso di risparmio lordo cinese è tra i più alti al mondo). Tuttavia, non solo i vari piani quinquennali varati da Pechino e i provvedimenti amministrativi stanno concentrandosi sulla loro risoluzione – ad esempio a Luliang, nella provincia dello Shanxi, dove dal 1° gennaio 2025 le coppie sposate ricevono 2.000 yuan per il loro primo figlio registrato, 5.000 per il secondo e 8.000 per il terzo, in un solo mese oltre 400 coppie hanno richiesto certificati di matrimonio – ma paradossalmente tali problemi possono rappresentare un’opportunità per gli investimenti italiani nell’economia della Terza Età (case di riposto, ospedali, farmaceutica …) e nei settori correlati (assistenza socio-sanitaria …).

Inoltre, i single spenderanno di più per sé stessi, così come le donne in carriera, il cui reddito totale e pro capite sta crescendo più velocemente di quello degli uomini (si pensi solo al desiderio di brand e prodotti di lusso italiani in Cina); il piano d’azione governativo in 30 punti si concentra sull’alleggerimento della spesa aumentando i livelli di reddito delle famiglie e riducendo gli oneri finanziari che molte persone stanno sopportando. In particolare i 4 punti prevedono: ridurre i costi dell’assistenza all’infanzia (per cercare di favorire la natalità), migliorare l’assistenza per gli anziani, stabilizzare i mercati azionari e immobiliari e garantire che le piccole imprese vengano pagate velocemente. Dal lato dell’offerta, il piano intende facilitare gli investimenti esteri, incrementare i consumi correlati all’automobile e creare più attività di promozione (il piano indica diversi tipi di consumo che riceveranno un sostegno speciale tra cui la silver economy). A differenza dei precedenti, questo piano d’azione riguarda una gamma più ampia di servizi e settori emergenti, tra cui alcuni mai coinvolti; non a caso nel primo trimestre 2025 la crescita cinese ha registrato un +5,4%, superando ampiamente le più rosee previsioni, trainata dalla produzione-consumo di elettrodomestici e dispositivi audio-video (l’export ha registrato invece +6,9%).

Un settore in cui l’Italia può ancora fare molto è quello agroalimentare, il cui export in Cina è cresciuto dell’8% rispetto all’anno precedente, al quarto posto tra i fornitori europei dopo Francia, Paesi Bassi e Germania (*).

Da questo punto di vista, va ricordato che Pechino ha varato diversi provvedimenti normativi di cui bisogna tenere conto:

il Piano cinese per accelerare la costruzione di una potenza agricola 2024-2035. Il documento stabilisce che entro il 2027 saranno conseguiti progressi significativi nella costruzione di un Paese agricolo forte. Si prevede un avanzamento sostanziale nella rivitalizzazione completa delle zone rurali, con la modernizzazione dell’agricoltura e delle aree rurali che raggiungerà una nuova fase di sviluppo. Entro il 2035, la costruzione di un Paese agricolo forte dovrà mostrare risultati notevoli, con progressi decisivi nella rivitalizzazione globale delle campagne. A quella data, la modernizzazione dell’agricoltura dovrà essere sostanzialmente realizzata e le aree rurali dovranno essere dotate di condizioni di vita moderne;

la Legge sulla sicurezza alimentare cinese entrata in vigore il 1° giugno 2024. Questa legge, nota anche come Food Safety Law (FSL), è stata aggiornata a seguito di una serie di scandali alimentari e si concentra su vari aspetti, tra cui la gestione dei cereali come bene strategico, l’uso della tecnologia agritech e il recupero dei terreni abbandonati. Inoltre, la Cina ha introdotto nuove norme sul controllo delle esportazioni di prodotti a duplice uso, che sono entrati in vigore il 19 ottobre 2024;

The China Organic Standard GB/T 19630 che modifica il regolamento 248 per gli alimenti importati (la Cina è uno dei mercati più importanti al mondo per consumo di prodotti biologici). I prodotti biologici Made in Italy, per potersi qualificare come tali anche sul mercato cinese, devono rispettare una serie di regolamentazioni e standard di riferimento imposti dal legislatore, che potrebbero trasformarsi in vere e proprie barriere di ingresso. Nell’ottica di una maggiore standardizzazione del sistema normativo e al fine di garantire la qualità e sicurezza dei prodotti commercializzati in Cina, l’autorità locale cinese ha più volte revisionato e aggiornato la normativa di riferimento.

In definitiva, oggi la Cina offre vantaggi fiscali-contributivi, alternative ai dazi statunitensi e incentivi economici per le aziende italiane interessate ad investire nel Paese, così come una piattaforma di accesso al mercato mondiale in maggiore crescita, quello dei Paesi ASEAN.

(*) Si ringrazia Italy China Link Foundation per i numerosi dati forniti nel suo Rapporto 2025: https://www.italychina.org/events/cina-2025-presentazione-rapporto-a-bologna-24-luglio/

Perché le aziende italiane devono guardare alla Cina

L’Italia può riorientare le sue esportazioni dagli Stati Uniti alla Cina?

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Anche se le trattative tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti si stanno avvicinando ad un accordo commerciale che imporrebbe dazi del 15%. – le tariffe sull’acciaio rimarrebbero comunque al 50% – per le imprese italiane i problemi non sono certamente finiti.

Innanzitutto rimane la variabile “imprevedibilità” di Donald Trump, che potrebbe successivamente cambiare i termini dell’intesa come già accaduto in passato. In effetti Bruxelles, mentre sta negoziando alcune esenzioni tra cui aerei, alcolici, dispositivi medici e medicinali generici, prosegue la preparazione delle contromisure in caso di mancata implementazione dei termini dell’accordo da parte di Washington.

In secondo luogo, solo pochi giorni fa, il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti aveva ammesso che per l’Italia accettare dazi superiori al 10% sarebbe stato “insostenibile”. E’ allora evidente che continuare ad insistere con il mercato statunitense quale principale destinazione dei prodotti italiani fuori dall’Europa rischia di divenire controproducente, a maggior ragione perchè nel nuovo mondo multipolare esiste una grande “fame” di Made in Italy.

Da questo punto di vista la Cina, al contrario degli Stati Uniti, si pone sempre più come Paese responsabile e alla ricerca di quella stabilità globale desiderata dalle aziende esportatrici. I dati economici dello scorso anno confermano questo orientamento geopolitico: forte spinta di Pechino verso l’ASEAN (+7,8%), in misura minore verso la UE (+2,2%) e decisa contrazione degli scambi con gli USA (-9%), per un consuntivo globale di 43.000,8 miliardi di RMB (+5%) e un surplus commerciale di 7.000 miliardi di RMB (export + 7% e import + 2%). Nel 2024, l’Italia è stata per la Repubblica Popolare Cinese il 24° partner nel mondo e il 4° all’interno dell’Unione Europea ma esistono ancora aree economico-sociali di cooperazione dal potenziale fortemente inesplorato. Tra di esse: start up innovative, proprietà intellettuale, agroalimentare, istruzione, cultura e sanità; alla luce dei settori in cui Pechino vanta grandi successi – Intelligenza Artificiale (70% dei nuovi brevetti nel mondo appartengono ad imprese della RPC), veicoli elettrici ed energie rinnovabili – joint ventures e partnership per le imprese italiane con quelle cinesi sono auspicabili.

Naturalmente anche in Cina esistono problemi: nella ineguale distribuzione del reddito (quello dei ceti urbani è circa il doppio di quanti vivono nelle campagne) e negli squilibri regionali, nella curva demografica discendente che ancora le politiche governative di stimolo a fare figli non hanno invertito (attualmente nel Paese oltre 300 milioni di persone hanno più di 60 anni e nel 2050 gli over 65 potrebbero diventare 1/3 della popolazione) e nella bassa propensione ai consumi (il tasso di risparmio lordo cinese è tra i più alti al mondo). Tuttavia, non solo i vari piani quinquennali varati da Pechino e i provvedimenti amministrativi stanno concentrandosi sulla loro risoluzione – ad esempio a Luliang, nella provincia dello Shanxi, dove dal 1° gennaio 2025 le coppie sposate ricevono 2.000 yuan per il loro primo figlio registrato, 5.000 per il secondo e 8.000 per il terzo, in un solo mese oltre 400 coppie hanno richiesto certificati di matrimonio – ma paradossalmente tali problemi possono rappresentare un’opportunità per gli investimenti italiani nell’economia della Terza Età (case di riposto, ospedali, farmaceutica …) e nei settori correlati (assistenza socio-sanitaria …).

Inoltre, i single spenderanno di più per sé stessi, così come le donne in carriera, il cui reddito totale e pro capite sta crescendo più velocemente di quello degli uomini (si pensi solo al desiderio di brand e prodotti di lusso italiani in Cina); il piano d’azione governativo in 30 punti si concentra sull’alleggerimento della spesa aumentando i livelli di reddito delle famiglie e riducendo gli oneri finanziari che molte persone stanno sopportando. In particolare i 4 punti prevedono: ridurre i costi dell’assistenza all’infanzia (per cercare di favorire la natalità), migliorare l’assistenza per gli anziani, stabilizzare i mercati azionari e immobiliari e garantire che le piccole imprese vengano pagate velocemente. Dal lato dell’offerta, il piano intende facilitare gli investimenti esteri, incrementare i consumi correlati all’automobile e creare più attività di promozione (il piano indica diversi tipi di consumo che riceveranno un sostegno speciale tra cui la silver economy). A differenza dei precedenti, questo piano d’azione riguarda una gamma più ampia di servizi e settori emergenti, tra cui alcuni mai coinvolti; non a caso nel primo trimestre 2025 la crescita cinese ha registrato un +5,4%, superando ampiamente le più rosee previsioni, trainata dalla produzione-consumo di elettrodomestici e dispositivi audio-video (l’export ha registrato invece +6,9%).

Un settore in cui l’Italia può ancora fare molto è quello agroalimentare, il cui export in Cina è cresciuto dell’8% rispetto all’anno precedente, al quarto posto tra i fornitori europei dopo Francia, Paesi Bassi e Germania (*).

Da questo punto di vista, va ricordato che Pechino ha varato diversi provvedimenti normativi di cui bisogna tenere conto:

il Piano cinese per accelerare la costruzione di una potenza agricola 2024-2035. Il documento stabilisce che entro il 2027 saranno conseguiti progressi significativi nella costruzione di un Paese agricolo forte. Si prevede un avanzamento sostanziale nella rivitalizzazione completa delle zone rurali, con la modernizzazione dell’agricoltura e delle aree rurali che raggiungerà una nuova fase di sviluppo. Entro il 2035, la costruzione di un Paese agricolo forte dovrà mostrare risultati notevoli, con progressi decisivi nella rivitalizzazione globale delle campagne. A quella data, la modernizzazione dell’agricoltura dovrà essere sostanzialmente realizzata e le aree rurali dovranno essere dotate di condizioni di vita moderne;

la Legge sulla sicurezza alimentare cinese entrata in vigore il 1° giugno 2024. Questa legge, nota anche come Food Safety Law (FSL), è stata aggiornata a seguito di una serie di scandali alimentari e si concentra su vari aspetti, tra cui la gestione dei cereali come bene strategico, l’uso della tecnologia agritech e il recupero dei terreni abbandonati. Inoltre, la Cina ha introdotto nuove norme sul controllo delle esportazioni di prodotti a duplice uso, che sono entrati in vigore il 19 ottobre 2024;

The China Organic Standard GB/T 19630 che modifica il regolamento 248 per gli alimenti importati (la Cina è uno dei mercati più importanti al mondo per consumo di prodotti biologici). I prodotti biologici Made in Italy, per potersi qualificare come tali anche sul mercato cinese, devono rispettare una serie di regolamentazioni e standard di riferimento imposti dal legislatore, che potrebbero trasformarsi in vere e proprie barriere di ingresso. Nell’ottica di una maggiore standardizzazione del sistema normativo e al fine di garantire la qualità e sicurezza dei prodotti commercializzati in Cina, l’autorità locale cinese ha più volte revisionato e aggiornato la normativa di riferimento.

In definitiva, oggi la Cina offre vantaggi fiscali-contributivi, alternative ai dazi statunitensi e incentivi economici per le aziende italiane interessate ad investire nel Paese, così come una piattaforma di accesso al mercato mondiale in maggiore crescita, quello dei Paesi ASEAN.

(*) Si ringrazia Italy China Link Foundation per i numerosi dati forniti nel suo Rapporto 2025: https://www.italychina.org/events/cina-2025-presentazione-rapporto-a-bologna-24-luglio/

L’Italia può riorientare le sue esportazioni dagli Stati Uniti alla Cina?

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Anche se le trattative tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti si stanno avvicinando ad un accordo commerciale che imporrebbe dazi del 15%. – le tariffe sull’acciaio rimarrebbero comunque al 50% – per le imprese italiane i problemi non sono certamente finiti.

Innanzitutto rimane la variabile “imprevedibilità” di Donald Trump, che potrebbe successivamente cambiare i termini dell’intesa come già accaduto in passato. In effetti Bruxelles, mentre sta negoziando alcune esenzioni tra cui aerei, alcolici, dispositivi medici e medicinali generici, prosegue la preparazione delle contromisure in caso di mancata implementazione dei termini dell’accordo da parte di Washington.

In secondo luogo, solo pochi giorni fa, il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti aveva ammesso che per l’Italia accettare dazi superiori al 10% sarebbe stato “insostenibile”. E’ allora evidente che continuare ad insistere con il mercato statunitense quale principale destinazione dei prodotti italiani fuori dall’Europa rischia di divenire controproducente, a maggior ragione perchè nel nuovo mondo multipolare esiste una grande “fame” di Made in Italy.

Da questo punto di vista la Cina, al contrario degli Stati Uniti, si pone sempre più come Paese responsabile e alla ricerca di quella stabilità globale desiderata dalle aziende esportatrici. I dati economici dello scorso anno confermano questo orientamento geopolitico: forte spinta di Pechino verso l’ASEAN (+7,8%), in misura minore verso la UE (+2,2%) e decisa contrazione degli scambi con gli USA (-9%), per un consuntivo globale di 43.000,8 miliardi di RMB (+5%) e un surplus commerciale di 7.000 miliardi di RMB (export + 7% e import + 2%). Nel 2024, l’Italia è stata per la Repubblica Popolare Cinese il 24° partner nel mondo e il 4° all’interno dell’Unione Europea ma esistono ancora aree economico-sociali di cooperazione dal potenziale fortemente inesplorato. Tra di esse: start up innovative, proprietà intellettuale, agroalimentare, istruzione, cultura e sanità; alla luce dei settori in cui Pechino vanta grandi successi – Intelligenza Artificiale (70% dei nuovi brevetti nel mondo appartengono ad imprese della RPC), veicoli elettrici ed energie rinnovabili – joint ventures e partnership per le imprese italiane con quelle cinesi sono auspicabili.

Naturalmente anche in Cina esistono problemi: nella ineguale distribuzione del reddito (quello dei ceti urbani è circa il doppio di quanti vivono nelle campagne) e negli squilibri regionali, nella curva demografica discendente che ancora le politiche governative di stimolo a fare figli non hanno invertito (attualmente nel Paese oltre 300 milioni di persone hanno più di 60 anni e nel 2050 gli over 65 potrebbero diventare 1/3 della popolazione) e nella bassa propensione ai consumi (il tasso di risparmio lordo cinese è tra i più alti al mondo). Tuttavia, non solo i vari piani quinquennali varati da Pechino e i provvedimenti amministrativi stanno concentrandosi sulla loro risoluzione – ad esempio a Luliang, nella provincia dello Shanxi, dove dal 1° gennaio 2025 le coppie sposate ricevono 2.000 yuan per il loro primo figlio registrato, 5.000 per il secondo e 8.000 per il terzo, in un solo mese oltre 400 coppie hanno richiesto certificati di matrimonio – ma paradossalmente tali problemi possono rappresentare un’opportunità per gli investimenti italiani nell’economia della Terza Età (case di riposto, ospedali, farmaceutica …) e nei settori correlati (assistenza socio-sanitaria …).

Inoltre, i single spenderanno di più per sé stessi, così come le donne in carriera, il cui reddito totale e pro capite sta crescendo più velocemente di quello degli uomini (si pensi solo al desiderio di brand e prodotti di lusso italiani in Cina); il piano d’azione governativo in 30 punti si concentra sull’alleggerimento della spesa aumentando i livelli di reddito delle famiglie e riducendo gli oneri finanziari che molte persone stanno sopportando. In particolare i 4 punti prevedono: ridurre i costi dell’assistenza all’infanzia (per cercare di favorire la natalità), migliorare l’assistenza per gli anziani, stabilizzare i mercati azionari e immobiliari e garantire che le piccole imprese vengano pagate velocemente. Dal lato dell’offerta, il piano intende facilitare gli investimenti esteri, incrementare i consumi correlati all’automobile e creare più attività di promozione (il piano indica diversi tipi di consumo che riceveranno un sostegno speciale tra cui la silver economy). A differenza dei precedenti, questo piano d’azione riguarda una gamma più ampia di servizi e settori emergenti, tra cui alcuni mai coinvolti; non a caso nel primo trimestre 2025 la crescita cinese ha registrato un +5,4%, superando ampiamente le più rosee previsioni, trainata dalla produzione-consumo di elettrodomestici e dispositivi audio-video (l’export ha registrato invece +6,9%).

Un settore in cui l’Italia può ancora fare molto è quello agroalimentare, il cui export in Cina è cresciuto dell’8% rispetto all’anno precedente, al quarto posto tra i fornitori europei dopo Francia, Paesi Bassi e Germania (*).

Da questo punto di vista, va ricordato che Pechino ha varato diversi provvedimenti normativi di cui bisogna tenere conto:

il Piano cinese per accelerare la costruzione di una potenza agricola 2024-2035. Il documento stabilisce che entro il 2027 saranno conseguiti progressi significativi nella costruzione di un Paese agricolo forte. Si prevede un avanzamento sostanziale nella rivitalizzazione completa delle zone rurali, con la modernizzazione dell’agricoltura e delle aree rurali che raggiungerà una nuova fase di sviluppo. Entro il 2035, la costruzione di un Paese agricolo forte dovrà mostrare risultati notevoli, con progressi decisivi nella rivitalizzazione globale delle campagne. A quella data, la modernizzazione dell’agricoltura dovrà essere sostanzialmente realizzata e le aree rurali dovranno essere dotate di condizioni di vita moderne;

la Legge sulla sicurezza alimentare cinese entrata in vigore il 1° giugno 2024. Questa legge, nota anche come Food Safety Law (FSL), è stata aggiornata a seguito di una serie di scandali alimentari e si concentra su vari aspetti, tra cui la gestione dei cereali come bene strategico, l’uso della tecnologia agritech e il recupero dei terreni abbandonati. Inoltre, la Cina ha introdotto nuove norme sul controllo delle esportazioni di prodotti a duplice uso, che sono entrati in vigore il 19 ottobre 2024;

The China Organic Standard GB/T 19630 che modifica il regolamento 248 per gli alimenti importati (la Cina è uno dei mercati più importanti al mondo per consumo di prodotti biologici). I prodotti biologici Made in Italy, per potersi qualificare come tali anche sul mercato cinese, devono rispettare una serie di regolamentazioni e standard di riferimento imposti dal legislatore, che potrebbero trasformarsi in vere e proprie barriere di ingresso. Nell’ottica di una maggiore standardizzazione del sistema normativo e al fine di garantire la qualità e sicurezza dei prodotti commercializzati in Cina, l’autorità locale cinese ha più volte revisionato e aggiornato la normativa di riferimento.

In definitiva, oggi la Cina offre vantaggi fiscali-contributivi, alternative ai dazi statunitensi e incentivi economici per le aziende italiane interessate ad investire nel Paese, così come una piattaforma di accesso al mercato mondiale in maggiore crescita, quello dei Paesi ASEAN.

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