Il re era nudo da tempo, tuttavia l’allegro coretto dei media locali e la classe medio – alta, al contempo connivente e distratta, hanno fatto finta di non vedere, di non sapere, di non accorgersi di nulla
La feroce canicola lugliana non ammette tregua. La Milano post – moderna e neo – schiavile costruita negli anni del regno molto liberal e molto trendy del sindaco Beppe Sala è collassata per sesquipedale arroganza. Il re era nudo da tempo, tuttavia l’allegro coretto dei media locali e la classe medio – alta, al contempo connivente e distratta, hanno fatto finta di non vedere, di non sapere, di non accorgersi di nulla. Tutto franava e intanto guardavano l’orologio per non far tardi all’aperitivo.
Amico di Mario Draghi e di Matteo Renzi, Beppe Sala è stato considerato un paladino di quella sinistra orrendamente atlantista e in perenne fastidio davanti ai poveri che si vestono male e non sanno tenere un bicchiere e un piattino in mano, come si conviene alle serate glamour delle sfilate di moda. Nel 2021, appena rieletto, Beppe Sala è corso alla Leopolda, strana convention ultra – liberista renziana, per affermare che “i soldati della NATO sono i nostri nuovi partigiani”, nel tripudio di un antifascismo da barzelletta che piace tanto a “La Repubblica” e che “il reddito di cittadinanza è una reddito di criminalità”, d’altronde si sa, ai ricchi in ultima istanza i poveri hanno sempre fatto schifo.
Sollevare la lampante e preoccupante deriva di classi medie, più o meno abbienti, o aspiranti tali, per altro le sole partecipanti al momento elettorale a Milano, capaci di trasformare la democrazia in delega tecnocratica escludente ogni rappresentanza, massimamente dei più bisognosi, è stato per un decennio reputato un atto sabotatore di lesa maestà, una fregnaccia da comunisti.
Neppure l’epocale astensione nel 2021 alla rielezione del monocratico sindaco – imperatore, pari al 51,5%, ha spaventato gli aedi vociferanti in grande strepito del tempo “bello e irripetibile”, una delle tante colorite metafore giornalistiche, della “nuova Milano”. Cerchiamo allora di capire che cosa sia stata questa “nuova Milano” pennellata nelle conferenze stampa con estro leonardesco, ma molto lugubre e poco scintillante nella realtà.
Negli anni del sindaco Sala a Milano, dal 2016 al 2025, si sono costruiti palazzi di mattoni e cemento per un volume che pareggia, dicono le statistiche, la quantità edificata nello stesso periodo sommando tutte le costruzioni di due regioni come il Piemonte e la Toscana, un fatto tanto mostruoso, quanto ragionevolmente imprevedibile.
Vero, si è riqualificato qualche parco, qualche giardino, specie nel quartiere Isola, si sono costruite quattro palazzine di edilizia popolare convenzionata, ma molte sono state lasciate cadere a pezzi e ce ne vorrebbero di nuove per almeno ventimila famiglie, anche dopo aver assegnato quelle cadenti al momento da ristrutturare e vuote.
Sono stati realizzati alcuni percorsi protetti e qualche nuova pista ciclabile, nulla in paragone con le città dell’Europa centro – settentrionale, ma anche in questo caso le trombe a festa mediatiche hanno squillato come per le quattro case popolari con enfasi pirotecnica, contribuendo a dar manate di vernice progressista al sindaco che incautamente e troppo spesso si è dimenticato i poveri, i quali, come detto, non solo lo irritano, ma gli suscitano ripugnanza, eppure così necessari al progetto sociale neo – schiavile di Beppe Sala.
Un esercito semi – invisibile, una colossale manovalanza di subalterni, al servizio dei colti e raffinati progressisti. Badanti e donne delle pulizie, metà con contratto, metà in nero, edili, con contratto negli appalti ufficiali ed egiziani in nero nei subappalti, ciclisti bengalesi e africani portatori di pasti, manovalanza straniera per lo spaccio di droghe a vario titolo, dalla marijuana alla cocaina di cui i ricchi stressati fanno largo uso, rendendo le fogne milanesi le prime per concentrazione della sostanza in tutta Europa. Da veri democratici, a pareggiare gli schiavi stranieri ecco pure gli schiavi italiani, studenti universitari costretti per quattro euro a fare i camerieri per riuscire a terminare l’università, neo – laureati stagisti a ottocento euro e mantenuti dai genitori, maestre e professoresse che dormono come i bengalesi in otto in un bilocale, con i letti a castello e la fila davanti alla porta del bagno la mattina presto.
Duecentomila stranieri di una ventina di comunità, ma non una moschea e un centro islamico corrispondenti alle necessità, piuttosto molto impegno a diffondere bandierine gender friendly.
Aberrante, sebbene da tutti saputo e da tutti taciuto, che i bengalesi e come loro tanti altri gruppi di stranieri, i quali nella maggioranza dei casi vivono in otto in cinquanta metri quadrati, non possano registrare ufficialmente la loro residenza, non è ammesso dalle regole igienico – sanitarie ambrosiane e nazionali, ecco allora vederli costretti a comprare una falsa residenza da italiani o da altri stranieri, per mille, duemila, tremila, cinque mila euro.
Il fenomeno migratorio è abbandonato a sé stesso, senza quei supporti che dovrebbero garantire un cammino di cittadinanza, salvo riempirsi la bocca di parole inutili e stucchevoli per un apparato caritatevole degno dei tempi degli Asburgo, delegato al terzo settore e al volontariato, massimamente cattolico, il quale tappa qua e là il colossale disastro dell’Amministrazione Comunale. Beppe Sala e tutto il suo mondo su tutto questo hanno sempre avuto solo e soltanto qualche parola compassionevole, tra uno spritz e l’altro.
Periferie trascurate, dimenticate. Esaltazione permanente della metropolitana e delle sue nuove linee, ma stato totalmente catastrofico per le linee di terra, non solo in periferia, ma anche in centro, bus, tram e filobus hanno dimezzato in dieci anni i passaggi, continui lavori di manutenzione dei binari, ripetuti cambiamenti di percorso, frequenti cancellazioni temporanee di intere tratte, assenza di personale per sostituire i guidatori malati, con relativa cancellazione delle corse, al pari di quei tram e di quei bus da riportare in deposito dopo che l’ennesimo senza fissa dimora, tra tanti abbandonati a loro stessi, ha scambiato il mezzo di trasporto per quei bagni pubblici che in giro per la città scarseggiano. Una città di un milione e duecentomila abitanti, con un’area metropolitana senza soluzione di continuità di cinque milioni di donne e uomini, di cui almeno un milione in entrata tutti i giorni lavorativi dentro il perimetro urbano, l’area più densamente popolata dell’Unione Europea, con quattrocentomila anziani – un terzo dei residenti – nella fascia tra i settanta e i cento anni, spesso soli, per i quali eliminare il tram e il bus sotto casa significa condannarli a una violenta esclusione sociale, allontanandoli dagli amici, dal dottore, dai servizi essenziali.
Povertà, rabbia, delusione, amarezza, sentimenti prevalenti, anche se camuffati e nascosti, con qualche fiammata delle bande giovanili, in una città che non ammette la disillusione, la debolezza, la fragilità sociale ed economica, non solo dei poveri e degli anziani, ma neppure di quell’ex ceto medio oramai proletarizzato, che corre in banca per sottoscrivere un mutuo e permettere a moglie e figli di fingere di essere ancora benestanti, anche in questo tragico settore la Milano di Beppe Sala detiene, come certificato dal sistema bancario italiano, il primato nazionale.
Incredibilmente questa “new left”, l’inglese per loro non è una palese dimostrazione di subalternità culturale, ma un esempio di pregevole e competente cosmopolitismo, questa nuova sinistra, mentre distruggeva Milano, aspirava a diventare, senza il minimo senso di realtà, il simbolo di una possibile riscossa della sinistra nazionale, come se la linea politica imposta dal Partito Democratico a sé stesso e a tutti i suoi cespugliosi alleati non fosse delineata, decisa e non discutibile a prescindere, immodificabile dalla base, da un eventuale congresso, come da un altrettanto eventuale nuovo segretario, ovvero il più sfrenato atlantismo, il più feroce europeismo e il più granitico liberal – liberismo, in una volontà di rappresentanza ristretta ai benestanti, chiamati post – modernamente “ceto medio riflessivo”, perché si sa, in generale son laureati, svolgono professioni qualificate, ben remunerate e ricche di soddisfazioni, almeno i genitori cinquanta – sessantenni, i figli un po’ meno, ma non se ne preoccupano, anzi si battono per andare tutti in pensione a settant’anni, aiutando così la riduzione del debito pubblico. L’acquisto per milioni di euro di armi invece per loro è un fatto pregevole, in fondo il 25 aprile cantano “Bella ciao” con gli ucraini in piazza del Duomo. L’aumento dell’età pensionabile non li agita, d’altronde non stanno quattordici ore al bancone di un bar, in un’aula con ventisette bambini che corrono e devono essere tutti seguiti e ascoltati, non faticano alla catena di montaggio dodici ore al giorno con gli straordinari obbligatori, lavorano in un ufficio con poltrone comode e pure l’aria condizionata, quindi non capiscono perché così tante e tanti milanesi e italiani non vogliano finire i loro giorni direttamente sul luogo di lavoro.
Beppe Sala, imperatore compiaciuto, ebbro di sprezzante autoreferenzialità, si stringe dentro il fortino dei suoi numerosi adulatori, tuttavia è inutile aspettare le sentenze della magistratura, così come è imbarazzante assistere all’intero sistema politico italiano che si schiera a sua difesa, la destra invoca che Milano “non venga bloccata” per bocca del presidente leghista della Regione Lombardia Attilio Fontana e simili parole sono state espresse dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il partito degli affari, si sa, da tempo è trasversale, il giudizio storico invece è implacabile ed evidente, non ammette appelli e non ha necessità di attendere pronunciamenti della legge, è una mesta ed irrevocabile condanna di una stagione esteriormente brillante, ma sostanzialmente drammatica per Milano, dietro una post – modernità scintillante e splendente, almeno dai pinnacoli dei nuovi grattacieli, ecco la carne viva di una società diseguale come mai prima e perfettamente, quanto orribilmente, neo – schiavile.